Una doverosa premessa: questo non vuol essere un articolo divisivo sul fronte generazionale.
Leggendo, capirete il perché.
Sono in un ufficio postale. Due sportelli più in là una signora sulla sessantina sta chiudendo un libretto postale, facendo cash out dei risparmi che negli anni ha messo da parte.
Come tante signore della sua età non fa mistero dell’operazione in corso coinvolgendo, oltre all’impiegato che litiga col terminale dell’Olivetti, anche tutti noi che aspettiamo la comparsa del nostro codice sul tabellone.
«Sa, io e mio marito avevamo aperto questo libretto per nostro figlio, ma lui sembra voler spendere tutto subito, non ha la cultura del risparmio».
E poi aggiunge «noi siamo abituati in altro modo».
Ed ecco che, dentro di me, mentre mi immedesimo nel figlio di questa loquace signora, scatta una scintilla che fa riaffiorare un pensiero che mi aveva toccato tempo prima.
Anche io, prima di Bitcoin, non volevo risparmiare. Non l’avevo mai realizzato, compreso o analizzato, semplicemente non volevo risparmiare.
I soldi venivano sempre usati come un metronomo frenetico, quando ce n’era la disponibilità: un viaggio, un televisore un po’ più smart, un sogno un po’ più grande.
Ma cosa mi spingeva a spendere? Erano i reparti di marketing delle grandi multinazionali? Era l’invidia nutrita dai social media e degli #adv?
Certamente anche loro avranno fatto la loro parte, ma (e questo l’ho scoperto grazie a Bitcoin) la causa principale del consumismo è la svalutazione della nostra moneta.
Che senso ha custodire del denaro, quando questo perde costantemente e programmaticamente valore? Che senso ha accumulare, sotto al materasso oppure in banca, un token centralizzato che DEVE perdere valore di almeno qualche punto percentuale ogni anno?
Non ho mai avuto cultura finanziaria, se non quella saggezza trasmessami da mia madre (una Boomer, ça va sans dire) che ripeteva: «Non importa quanto tu spenda, purché sia almeno l’1% in meno di quanto tu riesca a guadagnare».
Ho la sensazione che le generazioni precedenti ci guardino (noi Millenial e tutte le generazioni che seguono) e si chiedano il motivo per cui con tutto ciò di cui disponiamo, con tutte le libertà e con le tecnologie che abbiamo, siamo ancora così pessimisti riguardo al futuro.
Il pessimismo è dato dalla frenesia del consumismo, dalla sensazione di non riuscire ad accumulare perché «se oggi lavoro per 100, domani varranno 99».
Il consumismo non è figlio del capitalismo, che invece insegna a risparmiare un capitale da investire: il consumismo è dato dalla qualità della moneta, e noi stiamo utilizzando la peggiore che sia mai stata inventata e che, guarda caso, ci è stata imposta dall’alto.
E in quell’ufficio postale, con il mio biglietto di carta termica in mano, ho sognato per un attimo che questa signora ritirasse i frutti del suo lavoro e li investisse in un asset tecnologico di cui ormai parlano anche i giornali e gli investitori. Un asset finito e digitale, una moneta sana e onesta. E che lo facesse per suo figlio e per i suoi nipoti.
Bitcoin potrebbe essere il ponte intergenerazionale che permetterebbe ai Millenial di non sentirsi inadeguati se non riescono a risparmiare e potrebbe consentire ai Boomer di capire perché il mondo economico ha iniziato la sua deriva quando proprio loro rappresentavano la classe dirigente.
0 commenti